73° Anniversario dell’Eccidio dei Sette Martiri – 3 agosto 2017

Nel 1944 vi fu un’estate di sangue a Venezia e in tutta l’Italia occupata dai nazisti. Come ogni anno ricordiamo i martiri trucidati dai nazifascisti nella nostra città: quelli di Cannaregio (25 aprile), quelli di Ca’ Giustinian (il 28 luglio) e il 3 agosto, i sette dell’ex Riva dell’Impero, oggi Riva dei Sette Martiri. 

Alla Commemorazione ufficiale presso la lapide in ricordo dei Sette Martiri sono intervenuti il presidente della nostra sezione, Gianluigi Placella, di cui riportiamo il discorso tenuto nell’occasione, la vice Presidente Anna Messinis per la Municipalità di Venezia-Murano-Burano  e l’Assessore Massimiliano De Martin per il Comune di Venezia.

La Commemorazione vede la collaborazione organizzativa di ANPI 7 Martiri, IVESER, GL-FIAP, Circolo Ricreativo Culturale “3 AGOSTO” e Comune di Venezia.

Vorremmo qui ringraziare la sezione ANPI Erminio Ferretto di Mestre per la costante partecipazione e in particolar modo il Circolo 3 Agosto nella persona di Michele De Col per il contributo organizzativo generoso e insostituibile, infine René Seindal per la gentile concessione delle fotografie di questa pagina.


L’orazione del Presidente della Sezione ANPI 7 Martiri, Gianluigi Placella

Anche quest’anno ricordiamo Aliprando Armellini, 24 anni, di Vercelli (partigiano); Gino Conti, 46 anni, di Cavarzere (partigiano); Bruno De Gasperi, 20 anni, e i fratelli Alfredo e Luciano Gelmi, rispettivamente di 20 e 19 anni, di Trento (renitenti alla leva); Girolamo Guasto, 25 anni, di Agrigento; Alfredo Vivian, 36 anni, veneziano (comandante militare partigiano) fucilati davanti alla popolazione di Castello costretta ad assistere.

Lo facciamo nel luogo della barbarie nazi-fascista. Cos’è questa, se non il negare il diritto all’accertamento della verità, la giustizia sommaria, la rappresaglia?

Di questi delitti parliamo, anche oggi, anche quest’anno, perpetrati contro persone che fecero una scelta, che cioè seppero discernere tra giusto e sbagliato, senza tener conto dei costi, dei vantaggi, delle comodità dell’indifferenza e dell’opportunismo. Fu proprio per questa loro onestà e coerenza che furono eliminati. Infatti chi distingue, chi delibera autonomamente, allora come oggi, è un osservato speciale, è pericoloso per il pensiero comune, è scoraggiato con l’imbonimento di massa, con gli ostacoli frapposti alla sua voce, con la emarginazione più o meno violenta.

Torna evidente, anche oggi, che è utile al potere l’incapacità sempre più diffusa di distinguere fra educativo e diseducativo, consentito e vietato, legale ed illegale.

Nella confusione che ne deriva, prende spazio un popolo di sbandati, di individualità incapaci di capire la differenza fra diritto e sopruso: un popolo che finisce per reclamare lui stesso, il decisionismo, l’uomo forte, il padrone che sappia imporre ordini e proibizioni.

I tempi sono maturi per chi da 70 anni ha intrapreso l’opera di riportare istituzionalmente al potere un potere incostituzionale. Qui non è in discussione la pacificazione nazionale. Questa si realizza solo attraverso un’ammissione di responsabilità e con l’impegno contestuale a non riproporre quegli stessi principi deviati e deleteri.

Invece frettolosi richiami di pacificazione che hanno eluso quel passaggio di chiarezza, hanno dato voce sempre più arrogante a quanti trovano comodo equiparare, come paritetiche, le scelte di libertà dei partigiani e lo schierarsi a conservazione di un regime di sopraffazioni dei repubblichini; parificazioni che hanno dato spazio sempre più ampio a quanti vogliono sostenere che quegli eccessi non erano strutturali, cioè iscritti nel DNA del pensiero fascista, ma erano circoscritti ad un periodo storico che è ormai superato.

A noi dell’Anpi, incombe il compito di dire che nessuna conquista è per sempre, che il fascismo è ancora ben vivo e presente, che il fascismo è prima di ogni altra cosa un progetto di disumanizzazione della società. Una suggestione che fa credere ad ognuno di essere il più forte, una fede che affida solo al potere, alla imposizione, all’intolleranza, la creazione dell’ordine nel contesto sociale. E fomenta aspettative di rigore, regime, massificazione, restringimento del dissenso, discriminazione e intolleranza del diverso, razzismo, respingimento di ogni solidarietà verso chi fugge da guerre e da poteri violenti e dal sottosviluppo da sfruttamento.

Un’adesione incosciente e senza memoria che rende ciechi di fronte al fatto che sarà il più forte di te, il più furbo di te, il più conformista e allineato di te che approfitterà della tua omologazione, della tua adesione spensierata e dissennata.

Allora è nostro compito tenerlo a mente e raccontarlo nelle scuole e nelle piazze, richiamando, per contrasto, i sacrifici dei partigiani che ci hanno donato la libertà di essere, ognuno, sé stesso; quel sacrificio che dà un senso al nostro essere i loro portavoce e continuatori e che, pertanto, ci impone di ricordarlo a tutti, in ogni occasione; non solo quando i comportamenti ripropongono spudoratamente quel pensiero e quei riti violenti, come nel caso del lido nero di Sottomarina, derubricati a goliardia perfino dai vertici religiosi locali o degli ignobili cori dei tifosi della squadra dell’Hellas Verona alle parole del loro sodale di Forza Nuova che li arringa esaltando Hitler ed Hess come numi tutelari; oppure nel caso del monumento al criminale di guerra Graziani ad Affìle o del Parco giochi di Filettino che ancora la Regione Lazio lascia a lui intitolato o i mille saluti romani nel cimitero di Milano o di fronte ai tentativi di dedicare a Mussolini piazze di Jesolo. O, addirittura
quando quella propaganda si traduce in prepotenze violente, come le ronde contro immigrati, omosessuali, ebrei, e addirittura inequivocabili minacce programmatiche di Casapound: “voleranno sedie e schiaffoni in Senato” che, evidentemente, non è che una riedizione dell’ “avremmo potuto fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli” del discorso di insediamento del capo delle camicie nere, il 16 novembre 1922.

Tutte le volte che noi associazioni antifasciste e singoli cittadini ci opponiamo, dobbiamo avere il sostegno delle istituzioni, cui non dovremmo essere noi a ricordare che cos’è realmente il fascismo: perché il fascismo non è una idea, non è un opzione politica, è un crimine: contro la democrazia, contro la libertà, contro la Costituzione, contro la stessa nostra Repubblica alla quale ogni amministratore pubblico giura fedeltà e che è stata costruita su capisaldi che sono la contraddizione delle idee di sopraffazione dei fascisti di ogni epoca. La storia, invece, sta per ripetersi e non ci sono contingenze o priorità politiche che giustifichino sottovalutazioni o tiepidezze. Non vogliamo altri Matteotti, che per averlo detto apertamente, fu brutalmente soppresso.

Chiediamo perciò che, in ogni occasione ufficiale ed ogni volta che la cronaca ne dà occasione, si dica che in questo Stato, in queste nostre comunità non c’è spazio per il fascismo, che sia del terzo millennio o fatto di nostalgie rievocative e che anzi, tutti gli spiragli aperti da superficialità o tiepidezze corrive, devono essere serrati nuovamente.

Il ricordo di Marco Borghi agli Internati Militari Italiani durante il Percorso della Memoria.

Un esempio che invitiamo ogni amministrazione a seguire è quello di Elisa Fabian consigliera del comune di Cavarzere che ha ottenuto la modifica del regolamento comunale in modo che siano concessi gli spazi pubblici solo a quelle associazioni che sottoscrivono la XII disposizione transitoria della Costituzione e la conoscenza delle limitazioni imposte dalle leggi Scelba e Mancino. Elisa Fabian esorta a diffidare di ogni acquiescenza e ad alzare la guardia, perché la democrazia è fragile proprio in quanto dà spazio e voce anche ai suoi nemici.

La grande differenza tra la mentalità fascista e quella democratica sta tutta in un articolo della Costituzione, l’articolo 21, che garantisce la libertà di pensiero, di opinione, di espressione. Quelle autonomie vitali per la persona e per il cittadino che, invece, sono negate, perseguitate e soppresse in ogni fascismo; lo stesso che spudoratamente a quell’articolo si appella per poterlo poi deridere, rinnegare ed abbattere.

Diciamo allora che i veri “anti”: anti-democrazia, anti-stato, anti-libertà, sono i fascismi ed i fascisti con la loro intolleranza verso il dissenso. Quella dell’ANPI, quindi, prima ancora che antifascismo, prima di essere opposizione, resistenza, ripudio di quel pensiero di barbarie, è dichiarazione di fedeltà alla Costituzione ed alla Repubblica nata dal sacrificio dei combattenti della lotta partigiana.

Le nostre sono parole di ribellione di fronte ad attacchi alla verità e a distorsioni della nostra storia, di fronte ad un revisionismo aggressivo e violento che si vanta delle sue provocazioni. Vogliamo dire che quei richiami, quelle nostalgie, quelle pretese di parificazione, nella nostra democrazia, non sono ammesse perché sono il suo veleno. Minimizzare significa, consapevoli o no, fare strada al cavallo di Troia che distruggerà la democrazia ed i sacrifici di chi l’ha consentita.

C’è una passaggio di Primo Levi su cui sono stato richiamato nel Museo Partigiano Agostino Piol a Pian de le Femene e che mi pare il caso di ricordare in conclusione : “Ogni tempo ha il suo fascismo: se ne notano i segni premonitori dovunque la concentrazione di potere nega al cittadino la possibilità e la capacità di esprimere ed attuare la sua volontà. A questo si arriva in molti modi, non necessariamente col timore dell’intimidazione poliziesca, ma anche negando o distorcendo l’informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola, diffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l’ordine, ed in cui la sicurezza dei pochi privilegiati riposava sul lavoro forzato e sul silenzio forzato dei molti“.

Meditiamo e restiamo uniti nella resistenza e nella democrazia.

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