L’orazione del Presidente ANPI “Sette Martiri” per il 25 Aprile

Care compagne e cari compagni, amici e amiche dell’ANPI,
come ogni 25 aprile, anche oggi celebriamo la Festa della Liberazione.

Lo facciamo in una modalità meno pubblica, più intima, ma non meno sentita, cercando di ricreare in questo spazio virtuale la partecipazione emotiva che ogni anno circola tra i tanti presenti in Campo del Ghetto, punto di arrivo del nostro percorso di commemorazione, di ringraziamento, di presa di coscienza in cui le soste ci ricordano quanto dobbiamo a chi è caduto nella lotta di Liberazione dall’invasione nazista, sostenuta dai suoi alleati interni; italiani che si identificavano più convintamente in quella feroce dittatura che non nelle aspirazione alla libertà e all’eguaglianza sociale dei tanti italiani della Resistenza.
Ci ritroviamo idealmente in questo Campo del Ghetto che ci ricorda come la diversità sia diventata ricchezza e trama della cultura della città.
I tanti significati racchiusi in questo Campo sono testimoniati non solo dal contributo del Presidente di quella comunità ebraica che ha pagato un così caro prezzo alla scellerata sintonia nazi-fascista e che oggi rappresenta il monito contro ogni perseguitato del mondo, ma anche dall’intervento del Sindaco che dichiara la volontà dello Stato, attraverso le sue diramazioni periferiche, di riconoscersi, ancora oggi, nelle ragioni di quella lotta che, in un’Italia devastata dall’esperienza del ventennio fascista, ha costituito la pietra angolare della ricostruzione, aprendo orizzonti di cambiamento sociale.

Oggi quindi torniamo col pensiero a 75 anni fa quando, grazie al sacrificio di tanti cittadini e cittadine di ogni classe sociale, fu sconfitto quel nemico mortale per l’umanità: il nazifascismo, la cui ideologia aveva infettato il mondo e causato sofferenze e morte.
Fu la vittoria della solidarietà, della disciplinata accettazione delle restrizioni imposte da quella guerra, dei sacrifici, dell’eroismo dei tanti che sentirono un dovere esporsi in prima linea per il beneficio della collettività. A loro, oggi, ancora una volta, va il nostro grazie per averci restituito la libertà della cui limitazione tanti avevano sofferto, nei giorni tristi della dittatura del male.

Ancora di più possiamo comprendere quanto dobbiamo a quegli eroi della Resistenza, oggi che, pur sottovoce, con rispetto e cordoglio per i tanti che ci hanno lasciato, ci stiamo pacificando per un’altra “liberazione”: quella da un altro nemico, il virus della pandemia, combattuto con le armi della solidarietà, della disciplina, dello spirito di sacrificio. Verso i tanti morti per dovere – medici, infermieri, membri delle istituzioni, operatori delle forze dell’ordine e dell’informazione e dei servizi essenziali, vigili del fuoco e volontari della protezione civile, operai, donne e uomini che, rigettando ogni indifferenza, hanno agito coraggiosamente per la nostra sopravvivenza – sentiamo quella stessa gratitudine che ci rimanda alle Partigiane e ai Partigiani che si sono sacrificati. Se ci pensiamo, è lo stesso spirito che animò la Resistenza e la lotta di Liberazione, recepito in pieno e riversato nelle parole della nostra Costituzione, le cui prescrizioni sono quelle che nessuno sia lasciato indietro, che nella difficoltà bisogna stare uniti, che in certi spazi umani non esistono, e perciò non devono essere costruite, frontiere, né alimentate discriminazioni; con l’insegnamento che, solo costruendo un senso di comunità, si rafforzano le potenzialità di crescita e di arricchimento della singola persona.

Quell’atmosfera del dopoguerra deve insegnarci, anche nelle vicende dell’oggi, che il patrimonio di aspirazioni che si è costituito in questi nostri giorni di restrizioni, di ansie e di incertezze che ci hanno insegnato, però, i veri valori della convivenza, non deve disperdersi ancora una volta; che non dobbiamo, ancora una volta, consentire che vengano indebolite quelle pulsioni ad una società più giusta; che non possiamo lasciar passare una seconda occasione di applicare in pieno la nostra Costituzione.
In fondo lo Stato non è altro che quella costruzione che noi favoriamo e sosteniamo affinché si realizzino le nostre priorità, aspettative, desideri, interessi, vantaggi. Esso rispecchia la nostra sensibilità che può essere individualistica, egocentrica e allora si costituirà uno Stato che sostiene i forti, i dotati di patrimonio, gli spregiudicati e trascura i deboli come scarti del processo, uno Stato fascista; oppure altruistica che prospetta, progetta, incoraggia uno Stato solidale e democratico.

Negli ultimi mesi, abbiamo vissuto un’esistenza che, al di là delle differenze sociali, delle abitudini quotidiane e delle distanze tra le generazioni ci ha accomunato intorno alla dimostrazione che, nel salvaguardare noi, stiamo salvaguardando tutti e nel proteggere gli altri stiamo proteggendo noi stessi. Abbiamo, all’improvviso e forzatamente, dovuto rimettere nel giusto ordine di importanza la salute, anteponendola ai dettati fino ad allora indiscutibili di un economia declinabile solo nei termini del liberismo del capitale comprendendo la necessità del ritorno ad una centralità dei servizi pubblici, a partire dalla Sanità.
La grande sofferenza del sistema sanitario pubblico in questi mesi e la disconnessione tra lo Stato centrale e le regioni, hanno evidenziato infatti, lo scempio compiuto in decenni di tagli e di sovvenzioni più o meno lecite alla sanità privata; e come la grande riserva di fondi e di potere discrezionale dei governi delle regioni, abbia generato anche abusi e reati, dando sostanza alle preoccupazioni dell’ANPI nei confronti delle richieste di regionalismo differenziato.

Abbiamo davanti un futuro pieno di incognite, ma anche di possibilità di rinnovamento, nelle certezze messe a fuoco in queste settimane di privazioni. Approfittiamone per convincerci che cambiare si può e che, farlo, ci darà indipendenza.
Come nei territori sconvolti da un terremoto la riedificazione viene avviata secondo modalità costruttive antisismiche che segnano la cesura con tecniche superate, così nel prospettare le future incombenze nel campo della “ricostruzione” dell’economia terremotata dalla terribile scossa della pandemia che ne ha evidenziato la fragilità e l’obsolescenza strutturale, la “riedificazione” dovrà svincolarsi dai modelli del passato per costruire fondamenta e pilastri coerenti col nuovo panorama che si è presentato alla fine di questa calamità socio-economica.

Se pensiamo alla scomparsa dell’inquinamento nei grandi spazi della Cina, ma anche sulla pianura padana e nella nostra Laguna come effetto del drastico blocco di ogni attività, ci rendiamo conto che siamo di fronte alla prova della responsabilità delle attività umane, dei nostri riti frenetici nei disastri di questo sistema; di quanto la salvezza del pianeta dipenda dalla difesa del territorio bene comune dalle grandi opere devastanti, dal cambio di paradigma economico, per sostituire, alla fede nella religione della crescita illimitata, parametri di benessere completamente diversi.

Questi atteggiamenti devono diventare la base del nostro futuro anche per quanto riguarda la realtà locale di Venezia, innanzitutto per recuperare quegli spazi di democrazia e partecipazione che vediamo progressivamente ridotti nelle rappresentanze territoriali e nella ostilità verso movimenti di cittadini che pure la Costituzione invita a partecipare, a farsi sentire; poi per rientrare dai disastri ambientali come l’acqua “granda” di novembre facendo scelte rispettose della natura e quindi di tutela della Laguna con cui navi dal tonnellaggio fuorilegge sono incompatibili; e, soprattutto, ridisegnare la vita della comunità cittadina liberandola dall’asfissia della monocultura turistica. Un momento, quello della scelta della guida cittadina in cui l’esperienza dei danni del globalismo liberista possa guidare verso un mutamento epocale dei parametri di misurazione della civiltà e dell’evoluzione di una comunità.
I silenzi della città d’acqua, le immagini di una laguna che riprende i suoi equilibri, i suoi ritmi, in queste settimane sorprendenti, sono state condivise da tutti noi: canali come specchi perfetti, vite animali restituite al loro contesto, pesci, cigni, germani e fenicotteri increduli a riabitare spazi per loro da tempo preclusi. Sono l’esempio di quanto dovrebbe essere immaginato e programmato per il futuro: lo spazio del territorio che si confà alle necessità, ai bisogni, alla “natura” dei suoi abitanti. Che cos’è, alla fine dei conti, una città se non una armoniosa crescita di strutture intorno alla vita dei residenti? E quale occasione migliore per dimostrare il vantaggio della diversi che riprendere la propria eccezionalità urbana intorno ai silenzi, alle lentezze necessarie, alle priorità dei residenti e non dei visitatori di passaggio. Una città da ripensare anche intorno alle enormi difficoltà di tante categorie per le quali la risposta è da trovare insieme, in una gestione circolare della comunità, una specie di tavola rotonda in cui ognuno si faccia convinto che le sue richieste sono ammissibili solo se si coordinano e non interferiscono con le legittime aspettative di chi ci circonda allo stesso tavolo; ricordando che, anzi, nel fare l’interesse comune, si realizza il proprio vantaggio.
Non è altro che solidarietà applicata, non è altro che tornare a quanto ci chiede di fare la Costituzione.

L’entusiasmo del 25 aprile 1945 per la fine di un’emergenza democratica con l’esperienza di privazioni materiali e di diritti portò all’impegno di costruire su basi diverse la nuova società.
Quella consapevolezza rese possibile la realizzazione della grandiosa costruzione democratica che è la nostra Costituzione antifascista: concorde nella sua paternità e generosa nella sua visione di una società più giusta; eppure, molte di quelle istanze racchiuse nella Carta e pronte ad avviare nuovi rapporti sociali furono accantonate nel giro di qualche anno.

Pertanto, proprio ricordando come all’indomani della promulgazione della Costituzione forze ostili si compattarono per anestetizzarla e renderla inoffensiva, dobbiamo fare in modo che le opportunità prospettate da questa nuova “liberazione” non vengano soffocate. E’ interesse dei tanti che da anello debole del sistema stanno pagando il prezzo più alto avere un progetto di cambiamento per il futuro affinché non si soggiaccia a chi vuole, per inerzia e interesse, riprendere dal punto in cui si è lasciato, agli opportunisti teorici dell’egoismo e della disuguaglianza che, della comune disgrazia e della comune disponibilità al sacrificio, possano fare strumento per accentrare privilegi, accumulare profitti, accentuare disparità.

Facciamoci trovare pronti, per dimostrare, anche nel contesto europeo, che tanti limiti di egoismi nazionali vede riaffiorare, che la nostra Italia può rappresentare, una volta di più, un esempio di umanesimo e democrazia su cui ricostruire un’unione fra Stati che sia davvero l’Europa, variegata nelle sue identità, ma sollecita negli aiuti, solidale e democratica, secondo lo spirito dei fondatori.

Nell’attesa di poterci ritrovare nelle nostre attività abituali e chissà ancor più vicini tra vecchi e nuovi iscritti alla nostra gloriosa Associazione, auguro a voi, donne e uomini dell’Anpi, una buona Liberazione.

Gianluigi Placella
Presidente della Sezione “Sette Martiri”


Il video dell’orazione (minuto 7:12-21:34):

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