13 settembre 2015 – IN CANSIGLIO ALLA RISCOSSA

I motivi dello scontro sono chiari: da una parte gli invasori tedeschi e i miliziani di Salò, che sperano di ripristinare il regime fascista, dall’altra il movimento partigiano, animato dalla volontà concorde di tutte le sue componenti, che ha l’obiettivo di realizzare uno Stato nuovo, aperto alle classi popolari e alle istituzioni moderne di una democrazia basata su una piattaforma costituzionale antifascista.
Lo scontro si giocò per venti lunghi mesi su questa netta contrapposizione e a ritmo sostenuto crebbe il C.V.L., un esercito popolare, formato da tanti giovani, da donne e da uomini, organizzati in brigate e divisioni partigiane, rappresentato politicamente dai partiti antifascisti nei C.L.N., sostenuto dai nuovi alleati e che poteva contare sull’aiuto generoso e coraggioso delle popolazioni.

Fotografia di Roberto SolariE fu aspra guerriglia contrassegnata da grandi sacrifici, da continui atti di sabotaggio, da scontri a fuoco, da rastrellamenti, fucilazioni, impiccagioni e dall’uso, da parte dei nazifascisti, di torture inumane sulle partigiane e sui partigiani catturati e di feroci rappresaglie sui civili, con massacri di vecchi, donne e bambini.
Nel settembre di settant’uno anni fa, il Cansiglio diventa teatro di un grande rastrellamento nazifascista. Stabilizzato il fronte sulla linea gotica, Kesserling, ossessionato dal pericolo della presenza partigiana alle sue spalle, distoglie da quel dispositivo di difesa alcune divisioni e decide di impiegarle per liberare le Prealpi Venete e quindi le strade di rifornimento e di arroccamento da e per la Germania.
Il primo attacco viene sferrato proprio contro la Divisione Nannetti, che con le sue brigate presidia il dispositivo partigiano veneto orientale.
Nella prima fase, viene investita la linea Fadalto-Quero, ma i volontari della libertà sostengono bene l’urto e adottando la tradizionale tattica partigiana, fatta di puntate improvvise, scaramucce, agguati e sorprese, riescono a disorientare gli attaccanti e ad infliggere loro perdite notevoli.
I nazifascisti, per gli smacchi subiti, sfogano la loro rabbia sui paesi del Quartier del Piave, depredando e bruciando centinaia di case e compiendo feroci rappresaglie contro inermi cittadini. Ai primi di settembre, gli aggressori, quando si accorgono, che gran parte delle forze partigiane si sono sganciate dalla linea Fadalto-Quero per concentrarsi sul Cansiglio, muovono contro questa zona le prime puntate esplorative, che vengono respinte, ma preludono ad un violento e massiccio attacco generale.
Il Comando della Divisione Nannetti sa che non sarà possibile resistere ad oltranza, perche tedeschi e fascisti stanno completando l’accerchiamento della zona, con migliaia di uomini, appoggiati da artiglieria, autoblindo e mortai, mentre i partigiani dispongono solo di armi leggere e di poche munizioni. Ciononostante gli attacchi per circa una settimana vengono respinti e gli aggressori snidati dalle posizioni conquistate, ma le munizioni stanno per finire e diventa impossibile resistere.

Nella notte fra l’8 e il 9 settembre le Brigate ricevono l’ordine di ripiegare ordinatamente e a scaglioni su Pian Cavallo, forzando l’accerchiamento in ore e punti diversi Ma purtroppo, mentre lo sganciamento è in atto, giunge la notizia che i nazifascisti hanno già occupato Pian Cavallo e quindi non resta che disporre un piano per sciogliere i reparti e tentare di far filtrare gli uomini, singolarmente o a piccoli gruppi, fra le maglie dell’accerchiamento, verso la pianura, dove riceveranno l’ordine di rimobilitazione, finito il rastrellamento.
Nella notte fra il 9 e il 10 questa difficile manovra viene eseguita, in silenzio e con grande abilità, dai partigiani, che riescono brillantemente a beffare tedeschi e fascisti. Solo dodici sfortunati compagni cadono nelle mani dei nemici, i quali si aggirano per il Cansiglio alla ricerca dei volontari della libertà scomparsi come per incanto.
I nazifascisti hanno avuto circa duemila uomini fuori combattimento a fronte delle esigue perdite partigiane e dopo cinque giorni abbandonano la zona scornati e delusi e si sfogano incendiando tutte le abitazioni e tutte le casere esistenti nel bosco.
Tentano anche di salvare la faccia, diffondendo la fandonia dell’avvenuta distruzione delle “bande ribelli”, ma vengono sonoramente smentiti dai fatti, perche dopo poche settimane i partigiani della Nannetti ritornano sulle loro posizioni e anche durante il rigido inverno, riprendono la guerriglia per poi intensificarla, in tutto il territorio di pertinenza della Divisione, fin dai primi mesi del 1945.
Il 25 aprile di settant’anni fa il C.L.N.A.I. con il messaggio in codice “Aldo dice 26×1” chiama finalmente all’insurrezione generale tutte le formazioni del C.V.L. e dopo una settimana di accaniti e sanguinosi combattimenti la disfatta tedesca trascina con se, anche gli ultimi epigoni di Salò e tutto il Nord Italia viene liberato dai partigiani prima dell’arrivo delle truppe alleate e di quelle del C.I.L.
I volontari della libertà vengono accolti nei paesi e nelle città, tra lo sventolio di bandiere rosse, azzurre, verdi, bianche, tricolori e dal suono a distesa delle campane. C’era in tutti la certezza che l’Italia avesse voltato definitivamente pagina e che fosse finito per sempre l’incubo della guerra, del fascismo e dell’occupazione tedesca.
E in quella primavera piena di speranze, il movimento partigiano andava avanti, interpretando la profonda volontà di riscatto del popolo italiano, certamente dal fascismo ma anche dalle condizioni di arretratezza e di oppressione, che erano insite nella struttura dello Stato e della società di allora.
La Resistenza aveva aperto la strada della democrazia e aveva raggiunto l’importante obiettivo politico dell’inclusione delle classi popolari nello Stato, obiettivo che era sfuggito ai protagonisti del primo Risorgimento. E sarà proprio l’impegno delle classi popolari a stimolare la scelta repubblicana del 2 giugno 1946 a determinare la rottura definitiva con il passato e seppellire per sempre la monarchia sabauda.
Purtroppo da molto tempo assistiamo al dilatarsi di una campagna revisionista, che, mentre colpisce con particolare accanimento l’antifascismo e la Resistenza, usa toni molto indulgenti nei confronti del fascismo e della repubblica di Salò.
Addirittura si tenta di far credere che gli orrori di quel triste periodo sono stati così spaventosi solo perché, a fianco degli aguzzini fascisti, i veri responsabili erano i tedeschi. In quei venti mesi si è sentito spesso il nome di Kesserling, ma Kesserling fu l’ultimo regalo di Mussolini all’Italia, fu l’ultimo volto di una follia che per vent’anni aveva predisposto il nostro Paese a quel tragico epilogo. Fotografia di Roberto Solari
Attraverso un uso politico spregiudicato della storia e senza alcun rispetto per i più elementari principi della
ricerca storiografica, da anni si persegue, in una sorta di processo permanente alla Resistenza e ai suoi valori, un sistematico rovesciamento di giudizio sul periodo 43-45. I danni sono tanto più visibili se si associano a quelli provocati dall’occupazione della società italiana operata dal berlusconismo con un micidiale impasto, di populismo plebiscitario, di odio per la politica, di fastidio per la questione morale, di diffusione della volgarità e dei deliri del leghismo, il tutto favorito ed esaltato da uno strapotere televisivo, sfuggito, e purtroppo si sa come, al conflitto di interessi.
La guerra partigiana conobbe certamente difficoltà ed errori, ma fu sempre caratterizzata dall’unità di tutti i suoi combattenti (comunisti, azionisti, socialisti, democristiani, liberali, repubblicani) contro la barbarie nazifascista e dal loro impegno concorde per costruire uno Stato nuovo, libero e democratico.
Gli italiani dovrebbero interrogarsi su cosa sarebbe successo se invece dei partigiani e della alleanza internazionale che li sostenuti (Stati Uniti d’America, Inghilterra, Unione Sovietica) avessero vinto Hitler e Mussolini.
La risposta è semplice e terribile: l’Italia e l’Europa sarebbero ancora divise fra vittime e persecutori, mentre nessuna contorsione revisionista, nessuna menzogna possono negare che la Resistenza abbia fatto dell’Italia un Paese libero, dove sono liberi anche coloro che hanno combattuto la libertà e sono liberi anche gli squallidi libellisti che si arricchiscono denigrando il movimento partigiano.
Ma gli italiani devono anche sapere, che furono proprio quelle stagioni di lotta popolare a radicare nel nostro popolo, oltre a quello della libertà, anche i valori dell’uguaglianza, della giustizia sociale, della solidarietà e della pace e che su di essi l’Assemblea Costituente elaborò e poi promulgò la Costituzione repubblicana e antifascista del 1948.
Nell’impianto della nostra Carta fondamentale confluirono i valori di uguaglianza e di giustizia sociale mutuati dal movimento operaio e contadino, intrecciati con le istanze del solidarismo cristiano e con i principi cardine della tradizione del liberalismo democratico e per questo essa prefigura un forte progetto riformista, che deve essere realizzato con un sistema di economia mista, nel quale i settori produttivi pubblici e privati devono avere pari importanza e dignità. In altre parole una politica economica funzionale alla massima occupazione e ad un robusto stato sociale.
Su questa scelta di fondo furono discussi e approvati a larghissima maggioranza gli articoli della Costituzione relativi ai rapporti economici e l’Italia, fino alla fine degli anni settanta, rispettando questo vero e proprio patto sociale e perseguendo coerentemente il modello di economia mista, ha realizzato profonde riforme di struttura, ha assicurato al suo popolo un graduale sviluppo economico e sociale e un significativo welfare ed è diventata la quinta potenza economica del mondo.
Negli anni ottanta, il tema dominante divenne la modernizzazione e, causa la degenerazione morale, che aveva investito i partiti al governo, arrivò con tangentopoli la così detta seconda repubblica e con essa la svolta liberista, con la quale si è avviato un imponente processo di dismissione del patrimonio e delle attività pubbliche, privatizzando eccellenze industriali e finanziarie, strategiche per il nostro sviluppo economico. La politica liberista, che dura da troppi anni, ha fatto emergere, pian piano, una costituzione materiale radicalmente opposta al progetto riformista dei Costituenti e ha favorito un massiccio trasferimento di ricchezza dal mondo del lavoro e dell’economia reale a quello delle rendite finanziarie, provocando un aumento paradossale e insostenibile delle diseguaglianze sociali.

Oggi il Paese, si dibatte in una profonda crisi economica, privo di strumenti pubblici per contrastarla, ed è nuovamente investito da una diffusa degenerazione morale, fiaccato da una enorme evasione fiscale, da una devastante corruzione, da una disoccupazione a due cifre, con quella giovanile oltre il 40%, dalla presenza di milioni di lavoratori precari, mentre al Sud, gestite dal caporalato, persistono forme orribili di sfruttamento su uomini e soprattutto su donne assoggettate ad un vero e proprio schiavismo. A forza di gridare “basta con le ideologie” siamo rimasti solo con l’ideologia più vecchia del mondo: lo sfruttamento del lavoro.
Cancellato l’articolo 18, non si parla più della dignità del lavoro, eppure se non si parte da lì, dal diritto ad un lavoro dignitoso, ogni nuovo provvedimento sembrerà un premio di consolazione, un regalo, in nome del profitto.
Per uscire da questa pesante situazione è ormai necessaria una cura keynesiana in grado di agire sulla domanda aggregata e rilanciare investimenti pubblici, ricerca e innovazione, per allargare la nostra base produttiva, aumentare i livelli di occupazione, incrementare i consumi, far ripartire l’economia e aggredire l’enorme debito pubblico, che malgrado l’austerità liberista ci opprime.
Questa svolta esige un impegno concreto per ricostruire una Unione Europea che non sia solo monetaria, ma per raggiungere questo obiettivo non si può rimanere impiccati al pareggio di bilancio in Costituzione, continuando a borbottare i soliti gargarismi sull’Europa, che dovrebbe cambiare verso, per passare dall’austerità alla crescita.
Bisogna rovesciare il dogma liberista, che considera lo Stato come una famiglia o come una azienda, perchè, in una fase di crisi e di contrazione dei consumi, solo aumentando il disavanzo pubblico è possibile liberare risorse finanziarie, necessarie a rilanciare gli investimenti indispensabili a promuovere crescita economica.
L’esempio ci viene da oltre oceano: Obama per uscire dalla crisi, rispondere ai bisogni sociali del suo popolo e far ripartire l’economia americana, non ha aspettato gli investimenti privati, ma ha aumentato il disavanzo pubblico del 10% del PIL degli
Stati Uniti, destinando a investimenti produttivi 787 miliardi di dollari.
La nostra democrazia potrà vincere questa sfida solo se potrà contare su una forte partecipazione popolare e quindi è urgente recuperare il distacco dei cittadini dalla politica, restituendo agli elettori il diritto-dovere di scegliere i propri rappresentanti.
Purtroppo le riforme progettate o parzialmente concluse dall’attuale governo sembra abbiano invece un unico scopo: allontanare i cittadini dalle istituzioni democratiche.
Così, nelle province abolite, ma ancora in vita, in realtà sono aboliti solo i Consigli provinciali, unici organi eletti; l’italicum, oltre un premio eccessivo, che altera l’esito del voto, trasformando una minoranza elettorale in maggioranza parlamentare e che, considerato l’assenteismo, consegna il governo ad un partito che potrebbe rappresentare solo il 15/20% dell’elettorato, prevede anche i capilista bloccati e non eletti, per cui la Camera dei Deputati non potrà certo dirsi espressione della volontà popolare; sul Senato non più elettivo, ogni scelta diretta degli elettori è esclusa completamente e perciò la proposta del governo è un chiaro tentativo di disarticolare l’equilibrio dei poteri sui quali si regge la nostra democrazia.
Oltre a ciò, l’Italicum, ripresenta le ragioni di illegittimità del “porcellum” e potrà essere travolto da un nuovo giudizio di incostituzionalità della Consulta.
Per correggere poi gli effetti del bicameralismo perfetto, invocati per giustificare la riduzione del Senato a una sorta di dopolavoro per consiglieri regionali e sindaci, sarebbe sufficiente distinguere, in legislative e di controllo, le funzioni del Parlamento e se si volesse ridurre, per ragioni di risparmio, il numero dei suoi membri, lo si riduca, proporzionalmente, per entrambe le Camere; si raggiungerebbe così un ben più consistente risparmio rispetto alla proposta del governo, senza intaccare l’architettura costituzionale della nostra democrazia.
Con l’italicum e con l’eliminazione del Senato elettivo, gli italiani non sceglieranno più, nè i Senatori, nè la maggioranza dei deputati, che sarà formata dai capilista bloccati dalle segreterie dei partiti e così verrà stravolta la nostra Costituzione.
Questi veri e propri attacchi alla democrazia, sono le controriforme, che da trent’anni aspettavano Gelli e Berlusconi, non certo gli italiani.
Per fermare questa pericolosa deriva, va affrontata, con decisione, anche la devastante corruzione, che pervade la nostra società e che è la causa prima del disgusto per la politica, che si evidenzia nel preoccupante assenteismo elettorale e nel nullismo dell’antipolitica populista. I cittadini onesti non sopportano più il perverso carosello politica-affari-corruzione, che ogni giorno li angoscia.
Se non si riuscirà ad estirpare la corruzione e realizzare, come vuole l’Art.53 della Costituzione, una giustizia fiscale dove, in un sistema tributario informato a criteri di progressività, tutti sostengano la spesa pubblica, in ragione della propria capacità contributiva, sarà a rischio la tenuta stessa del nostro sistema democratico.
Per questo abbiamo bisogno di leggi vere, non come la Renzi-Orlando, con la quale, di recente, si è reintrodotto il falso in bilancio, ma non si è inserito, nel testo del provvedimento, il reato per le false valutazioni aziendali. E’ stata questa solo una dimenticanza o è una furbata? Ce lo chiediamo, perchè la Cassazione, obbligata ad applicare questa nuova legge, ha annullato alcune sentenze di condanna, già emesse da Corti d’Appello, contro evasori fiscali.
Fotografia di Roberto SolariDalla crisi attuale, che non è solo economica, ma soprattutto morale, l’Italia uscirà solo ritornando alla Costituzione e all’etica della buona politica, che è stata l’obiettivo, l’impegno e le speranze della Resistenza. Bisogna anche salvaguardare l’equilibrio dei poteri sul quale si regge la nostra democrazia, equilibrio oggi reso precario, dalla presenza di un Parlamento azzoppato, perché eletto con una legge dichiarata incostituzionale dalla Consulta e di un governo, che, per questo, a colpi di voti di fiducia, si ritiene legittimato a surrogarlo nella funzione legislativa.

L’articolo 1 della nostra Costituzione proclama la sovranità popolare, che si esprime attraverso il Parlamento, unico fra i poteri costituzionali eletto a suffragio diretto.
Dobbiamo ritornare, quanto prima, alla normalità democratica, con un Parlamento, che sarà espressione della sovranità popolare e pilastro portante del nostro sistema democratico, solo se verrà eletto rispettando le indicazioni dell’art.48 della Costituzione, che sancisce: ”Il voto è personale ed eguale, libero e segreto”, con buona pace delle fattucchiere dell’italicum.
Tutti i sinceri democratici, devono uscire dal rassegnato silenzio, dalla indifferenza, dal conformismo e devono far sentire alta e forte la propria voce in difesa dei caratteri essenziali della nostra Repubblica parlamentare e ricordare sempre, che la libertà è partecipazione, non è affidare la soluzione dei problemi all’uomo solo al comando, che di tanto in tanto ci regala la provvidenza.
L’A.N.P.I. difenderà sempre il delicato equilibrio dei poteri, posto a garanzia della democrazia e della libertà di tutti e continuerà nell’impegno, perché la Costituzione, nata dalla Resistenza, venga rispettata, realizzata e non stravolta.
Ai giovani che oggi vivono l’angoscia della disoccupazione o della precarietà e temono un futuro pieno di incognite, rivolgo l’appello con il quale un grande antifascista Antonio Gramsci, stimolava le forze popolari a perseguire un avvenire migliore:”Istruitevi perche avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza! Agitatevi perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo!! Organizzatevi perche avremo bisogno di tutta la nostra forza!!!
E a chi, pur di raccattare qualche voto nella melassa putrescente del neofascismo, continua a soffiare sull’odio razziale più becero, contro esseri umani che fuggono dalla guerra e cercano un tozzo di pane e un sorriso accogliente, a chi sogna nuove avventure autoritarie, aggrappandosi a “forza nuova”, ricordo le parole forti e limpide di Piero Calamandrei, uno dei padri della nuova Italia antifascista:
se vorrai tornare, ai nostri posti ci ritroverai, morti e vivi con lo stesso impegno, popolo serrato intorno al monumento, che si chiama:
ORA E SEMPRE RESISTENZA !!!

(Le fotografie nell’articolo sono tutte di Roberto Solari che ringraziamo)


[continua]

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