76° Anniversario dell’Eccidio dei Sette Martiri

L’emergenza che ha toccato tante nostre abitudini ci costringe a ridurre il tradizionale programma del 3 agosto che vedeva ogni anno tutta Venezia e in particolare il sestiere di Castello stringersi attorno ai propri Sette Martiri con un corteo e altre iniziative molto sentite e partecipate.
Alle orazioni ufficiali tenute dal Presidente Gianluigi Placella e da un rappresentate del Comune di Venezia potranno assistere solo 30 persone, distanziate e solo in posti a sedere.
Saremo in pochi, è vero, ma è importante che, anche quest’anno, le cose siano dette in pubblico con le istituzioni al fianco dell’Anpi a esprimere la condivisione del significato della cerimonia e il diritto dell’Anpi di ricordare, in ogni occasione, quello che è stato l’atto di nascita di questa Repubblica, il contributo di tanti italiani alla lotta di Liberazione contro i fascisti alleati dell’invasore nazista.
Alle 18.30 trasmetteremo quindi sulle nostre pagine la diretta della Cerimonia ufficiale per permettere a quanti e quante più possibili di essere partecipi anche a distanza.
Dalle 19.00 inoltre sulla pagina FB dell’ANPI “Sette Martiri” trasmetteremo alcuni contributi di musicisti, cantanti, attori che hanno sempre tenuto a onorare la memoria dei fatti di Castello e della Resistenza veneziana e anche quest’anno hanno voluto contribuire per aiutarci almeno virtualmente a sentirci comunità. A loro l più sentito ringraziamento di tutta la Sezione.
Invitiamo tutti e tutte quindi a seguire questo evento FB con la speranza un prossimo anno di trovarci di nuovo fisicamente sotto la lapide in ricordo dei Sette Martiri di Castello.


Segui l’evento su FB

Che cosa avvenne quel 3 agosto di 76 anni fa.


I contributi:

1. Franca Pullia ed Enrico Brion, “25 aprile 1945” (G. Lunari / G. Negri)

 

2. Franca Pullia ed Enrico Brion, “Imagine” (J. Lennon)

 

3. Andrea Wob Facchin “A la Giudeca” (A. D’Amico)

 

4. Ottavia Piccolo,  “Canto degli ultimi partigiani” (F. Fortini)


L’orazione del Presidente Gianluigi Placella

 

L’emergenza che ha toccato tante nostre abitudini ci costringe a ritrovarci oggi in un numero ridotto.

Siamo in pochi, è vero, ma è importante che, anche quest’anno, le cose siano dette in pubblico con le istituzioni al fianco dell’Anpi a esprimere la condivisione del significato della cerimonia e il diritto dell’Anpi di ricordare, in ogni occasione, quello che è stato l’atto di nascita di questa Repubblica: il contributo di tanti italiani e italiane alla lotta di Liberazione contro i fascisti alleati dell’invasore nazista. Un diritto di fare memoria e testimonianza di cui ci sentiamo detentori e che intendiamo esercitare benché in tanti modi, anche recentemente, all’Anpi sia stato negato.

Soffermiamoci allora di nuovo sul significato di questa cerimonia che non è solo il riconoscimento di un lascito, di un debito, l’onore ad un esempio civile che dobbiamo a questi sette cittadini abbattuti dalla violenza nazifascista; è anche il riproporre il ricordo di quei misfatti, non già allo scopo di perpetuare un conflitto come racconta la propaganda di destra, ma per continuare a dire e ad avere chiare le responsabilità di quelle ideologie di violenza e sopraffazione; e per richiamare, al riguardo, la persistenza di un pericolo mai estinto: il fascismo che continua a giovarsi di una spinta a minimizzare.

Un pericolo inaccettabile, questo, perché avvelena la democrazia.

È proprio il voler dire che il fascismo è sparito che rimette in discussione e a rischio le conquiste di libertà il cui valore lo percepiamo solo in raffronto con la sua negazione di quegli anni; una libertà che non è acquisita per sempre, un valore che va protetto e che non può essere ceduto in cambio di una omologazione spacciata per concordia. Un esempio recentissimo di questa operazione: in nome di una finta e offensiva pacificazione e nella strategia generale di omologazione, il consiglio comunale di Terracina ha approvato una mozione della destra che impegna ad intitolare una piazza congiuntamente ad Almirante e Berlinguer.

Questo nostro fare memoria è ancora più necessario quando campagne di certa stampa (e non solo) si concretizzano in articoli come quello intitolato I partigiani di oggi. Senza fascisti ma pieni di soldi” e l’altroA cosa serve l’associazione dei reduci? I fascisti non ci sono più. E l’Anpi se li inventa”.

Di entrambi una sentenza del tribunale di Milano ha accertato e dichiarato la natura diffamatoria.

Consideriamo bene che è sull’appannamento del ricordo dei misfatti e delle responsabilità che fanno conto la mistificazione, il depistaggio, la normalizzazione dell’esibizione di divise naziste. Dobbiamo invece tenere sempre a mente che tutto ciò che è nazismo ha avuto come modello la vergogna fascista.

Ricordare, quindi, è nostro diritto e nostro dovere; anche per evitare che il passare degli anni porti la smemoratezza verso i delitti, invece della saggezza della vecchiaia.

E dobbiamo sempre avere chiaro che il paradigma: nazista cattivo-fascista buono è strumentale e fuorviante.

E’ un concetto che ci piace richiamare con le parole del Presidente della Repubblica:

“Sorprende sentir dire, ancora oggi, da qualche parte, che il Fascismo ebbe alcuni meriti, ma fece due gravi errori: le leggi razziali e l’entrata in guerra. Si tratta di un’affermazione gravemente sbagliata e inaccettabile, da respingere con determinazione. Perché razzismo e guerra non furono deviazioni o episodi rispetto al suo modo di pensare, ma diretta e inevitabile conseguenza. Volontà di dominio e di conquista, esaltazione della violenza, retorica bellicistica, sopraffazione e autoritarismo, supremazia razziale, intervento in guerra contro uno schieramento che sembrava prossimo alla sconfitta, furono diverse facce dello stesso prisma”

Perciò il grazie a questi nostri caduti deve andare insieme alla vigilanza, all’attenzione verso le istanze della parte più partecipe della cittadinanza che così tante volte, nelle sue manifestazioni, mostra consapevolezza e chiarezza delle priorità.

Nello sconvolgimento della pandemia che ha però portato anche rivelazione, oggi più che mai, ritornano in primo piano i valori della solidarietà, della centralità dello stato, le ragioni dell’individuo rispetto a quelle della sua appartenenza, della persona umana prima ancora che del cittadino.

Forse, come nel 1943, è stato necessario che si arrivasse allo sconvolgimento di ogni equilibrio che connotava la cosiddetta normalità per recuperare come parametro la persona.

Per questo dobbiamo meditare su quanto attuale sia il significato dei sacrifici fatti dai tanti italiani e italiane di allora per opporci ad oppressioni che si ripropongono nei tanti governi liberticidi che perseguitano ogni diversità di orientamento; realtà di cui, per tutte, è un altro doloroso simbolo Giulio Regeni, su cui ancora da troppo tempo aspettiamo di conoscere una verità che ci è dovuta.

Un’oppressione che peraltro vediamo nelle tante manifestazioni di odio e di intolleranza nel nostro stesso paese, come dimostrano le violenze verso il diverso di cui le cronache, anche degli ultimi giorni, sono piene e contro le quali l’Anpi si è schierata apertamente sostenendo una legge contro l’omofobia e la misoginia.

Perciò, anche nel nostro contesto più vicino, dobbiamo allertare la vigilanza verso una società che, oggi come allora, continua a sfruttare il bisogno, sostiene la carità interessata di chi, dando il lavoro, toglie dignità e vita nei tanti, troppi morti per lavoro, si decompone nei diritti sfaldati, nelle disuguaglianze che aumentano, nell’esclusione dei giovani dal futuro; ma anche nella perdita di autonomia informativa, nella concentrazioni di testate, negli scandali pubblici, nei persistenti conflitti di interesse, nei revisionismi, nelle invocazioni di riabilitazioni, nei tabù che si vogliono far cadere.

A tutto questo l’Anpi fa resistenza.

Per tutto questo l’Anpi propone le soluzioni indicate dalla nostra Costituzione perché non c’è posto, in un contesto che vuol dirsi democratico, per sostegni agli individualismi più cinici, al profitto senza regole, allo sfregio portato ad un’economia, pubblica o privata, che la Costituzione vuole che si sviluppi in funzione dell’utilità sociale.

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Ad una società che non consentisse queste ingiustizie aspiravano i nostri Sette Martiri, con la convinzione che il loro esempio avrebbe sostenuto la voce dei futuri cittadini e rappresentato un monito ai futuri governanti.

Allora questa volontà di ritrovarci, seppure in pochi nel giorno a loro dedicato, è significativa del fatto che anche a Venezia non ci stanchiamo di resistere, di pretendere, di impegnarci per una convivenza più degna tra diversi che si integrano e non si sfruttano, non si omologano, non si cooptano nello stesso affare senza freni fatto di monocultura, disinteresse e sfregi per la natura a noi affidata e che rappresenta il senso del nostro convivere.

A maggior ragione quando la collettività che vive il territorio ha tutte le risorse nella sensibilità delle persone, nella coscienza della sua grandezza, nella cultura di democrazia, per non accettare di essere trattata come un minore che ha bisogno di un tutore.

Oggi ricordiamo anche che solo un’istituzione sana può permettersi di seguire la voce dei cittadini partecipi, impegnati e vòlti al bene comune contro gli interessi dei grandi poteri, contro le ragioni del puro profitto che oggi come allora tendono ad imbonirci, ingannarci e uniformarci.

La vera democrazia, la vera cura della cittadinanza è conciliare, fra tutti, i bisogni di ciascuno e insegnare a ognuno a coordinarsi con le aspettative degli altri, rifiutando il paternalismo delle donazioni.

Lo scompaginamento del mondo che nessun politico avrebbe osato, provocato da questa pandemia, offre l’occasione per un riordino di priorità, abitudini, valori; mette in vista opportunità.

Non cogliere la novità significa perseguire la conservazione, lo status quo del meno peggio, del male minore, dell’ignavia verso il crescere delle disuguaglianze di opportunità e di benefici; significa negarsi il futuro per il quale i tanti caduti si sono impegnati.

Lo scempio dei Sette Martiri imposto agli abitanti di Castello per soffocare la loro partecipazione di cittadini, ebbe invece l’effetto di produrre ancora più convinzione della necessità di cambiamento.

Ecco, quindi, il monito che ricaviamo da questa commemorazione: anche quando, incerto, difficile, loro ci hanno dimostrato che è possibile, il cambiamento.

Questa è la parola che oggi ci viene da loro consegnata per salvare la dignità della nostra storia e il nostro futuro da cittadini e non da sudditi.



 

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