Per il Giorno della Memoria 2024 di Lia Finzi

Pubblichiamo di seguito l’intervento introduttivo di Lia Finzi, Presidente emerita della nostra Sezione, in occasione della lettura teatrale “Siamo ancora vive!” di Ottavia Piccolo, uno dei contributi della sezione ANPI “Sette Martiri” insieme a Resistenze- per il Giorno della Memoria 2024, tenutasi giovedì 18 gennaio alle 17.00 nello Spazio Emergency alla Giudecca.
Di seguito un breve video di parte dell’intervento.

Memoria 2024

Lia Finzi

Dopo lo shock del 7 ottobre e la rabbia di Israele, la guerra continua. E siamo nella Giornata della Memoria: di fronte all’annientamento di 6 milioni di Ebrei, di Zingari (Sinti e Rom), di Testimoni di Geova, di handicappati, di omosessuali, di politici. Da ricordare tutti quelli considerati diversi e per ciò annientati.

Il grande scrittore israeliano Abraham Yehoshua ha affermato: “è difficile la rappresentazione etica dello sterminio, è un’esperienza estrema a cui non si può aggiungere nulla; difficile è anche trovare la forma adatta per raccontare lo strazio delle vittime, ma Peter Weiss (1916-1982) scrittore e drammaturgo tedesco, ha trasformato quello strazio in un poema “L’istruttoria” recitato in tutto il mondo.”

L’opera “L’istruttoria” è basata sulle parole pronunciate nell’aula di Francoforte durante il processo contro un gruppo di SS di Auschwitz, svoltosi dal 1963 al 1965. Parole dure, essenziali, cariche di forza indignata e dolorosa, che potrebbe essere recitata ancor oggi, così come oggi qui vengono lette le parole dell’esperienza tragica nei campi di sterminio di un’ebrea veneziana, una degli otto ebrei deportati e sopravvissuti, su 248 deportati da Venezia. Una tra i “sommersi e salvati” di questa città.

Primo Levi nel libro “I sommersi e salvati” (1986) scrisse parole chiare sulle testimonianze: “Al di là della pietà e dell’indignazione che suscitano vanno lette con occhio critico. Per una conoscenza dei lager, i lager stessi non erano sempre un buon osservatorio. Poteva accadere che i prigionieri non sapessero neppure in quale punto d’Europa si trovasse il lager in cui stavano”.

Così può succedere oggi “osservando” il conflitto: di fronte all’accusa a Israele per genocidio leggiamo che l’osservatorio del CDEC documenta una nuova ondata di rancore contro gli Ebrei, un antisemitismo diffuso.

L’atto d’accusa portato all’AIA contro Israele apre, nel tentativo di tutelare la popolazione Palestinese di Gaza, il pericolo di disconoscere che la risposta israeliana all’aggressione partita da Hamas ne è la conseguenza. Ritorcendo la realtà in antisemitismo presente in tutto il mondo.

È un sentimento che scorre nelle società dalla Guerra dei Sei Giorni del 1967 alla strage di Sabra e Chatila del 1982 e che evita di fare delle analisi corrette sugli errori commessi.

A Milano, vicino alla Stazione Centrale, accanto al Binario 21 dal quale i nazisti e i fascisti caricavano le vittime nei vagoni piombati diretti ai lager, vi è sul muro del Memoriale della Shoà una grande scritta: INDIFFERENZA, parola voluta, prevalentemente, dalla senatrice Liliana Segre.

Certo non si può e non si deve essere indifferenti di fronte agli ostaggi ebrei predati, uccisi, stuprati da Hamas e alle tante vittime palestinesi di Gaza, ma “Non potrà mai esserci sicurezza, per i palestinesi, per gli israeliani, per nessuno di noi, senza uguaglianza, diritti e libertà” così afferma l’appello di Emergency, Mediterranea, Laboratorio Ebraico Antinazista e Assopace Palestina. Appello al quale ha aderito anche l’ANPI.

Di sicuro l’appello esprime una sensibilità culturale pacifista e non violenta, in lotta contro nazionalismo, razzismo e antisemitismo, nella convinzione che: “la logica binaria, da una parte o dall’altra, è la trappola a cui è necessario sottrarsi in questo momento”. Così conclude l’appello condiviso anche dall’ANPI.

Io sono certamente, vista l’età, una degli ultimi bambini e ragazzi cacciati dalle leggi fasciste, razziste, antiebraiche del 1938, dalla scuola pubblica. La storia parte da lì: la disoccupazione degli adulti, le offese, la fuga, le deportazioni, la guerra, le paure, il triste ritorno per i sopravvissuti.

Si leggeranno brani del libro “Siamo ancora vive” di Amalia Navarro, grazie a Ottavia Piccolo e a Sandra Mangini. Storia di due sopravvissute dai campi di sterminio, due tra gli otto di Venezia ritornati.

Il mio impegno più importante negli anni del dopo Resistenza fino a oggi fu quello di andare nelle scuole a raccontare ai giovani la Storia. Farò un esempio per ricordare i tanti incontri (dalle elementari, alle medie, ai licei): un anno l’ANPI organizzò con il Liceo Classico Franchetti di Mestre la visita al campo di Auschwitz. Due pullman da Mestre a Kraków, in uno l’amico e compagno Mario Bonifacio, nell’altro io, come accompagnatori narranti in preparazione della visita. I ragazzi attenti e disciplinati facevano domande. Kraków è una città interessante: il vecchio ghetto, l’Università, il Museo, la Dama con l’Ermellino di Leonardo da Vinci e altro… Poi l’arrivo ad Auschwitz. Non vi racconterò tutto quello che abbiamo visitato, le baracche, i resti dei forni crematori, i luoghi di “lavoro”… Ma colpì i ragazzi in particolare la visita dei padiglioni di raccolta dei resti dei deportati: montagne di capelli, di occhiali, di gavette, di valige vuote e di scarpe. Tra queste c’erano anche molte paia di scarpette da bambino. E per questo voglio leggervi la poesia di Joyce Lussu: “Un paio di scarpette rosse”.

C’è un paio di scarpette rosse

numero ventiquattro

quasi nuove

sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica

“Schulze Monaco”

C’è un paio di scarpette rosse

in cima a un mucchio di scarpette infantili

a Buchenwald

erano di un bambino di tre anni e mezzo

chissà di che colore erano gli occhi

bruciati nei forni

Ma il suo pianto lo possiamo immaginare

si sa come piangono i bambini

anche i suoi piedini li possiamo immaginare

Scarpe numero ventiquattro

per l’eternità

perché i piedini dei bambini morti non crescono

C’è un paio di scarpette rosse

a Buchenwald

quasi nuove

perché i piedini dei bambini morti

non consumano le suole.

Le classi terze del Liceo Classico Franchetti di Mestre, nel viaggio di ritorno non fecero domande sulla visita ad Auschwitz: si erano già commossi sul posto e penso che non lo dimenticheranno mai più quel viaggio. Certamente oggi non saranno indifferenti.

Per concludere, condivido le parole di Liliana Segre dette durante una intervista. “I giovani devono conoscere ciò che è realmente accaduto: è l’unico modo per porre un argine alla violenza presente e futura. Avverto questa urgenza da senatrice, ma anche da nonna”.

È questo anche il mio intento e il mio impegno per il futuro (che mi resta).

Lia Finzi

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